Il tamarindo (nome scientifico Tamarindus indica), il cui nome deriva dall’arabo e significa, letteralmente, “dattero d’India”, è un albero grosso e longevo, in grado di superare agevolmente i trenta metri di altezza e i 150 anni di età.
Leguminosa dai mille usi, produce frutti impiegati per ottenere bevande rinfrescanti e cocktail, ottimi piatti, soprattutto di cucina thailandese, e tisane curative.
Il Tamarindo è un’essenza tropicale originaria del continente africano, particolarmente diffuso nelle zone tropicali e subtropicali dell’Asia e del Sud America e nelle isole caraibiche, oltre che, naturalmente, in gran parte del territorio dell’Africa.
L’albero, che raggiunge ragguardevoli altezze grazie allo sviluppo ascensionale dei suoi rami, piuttosto che del tronco, è caratterizzato da infiorescenze composte da piccoli fiori gialli, striati di arancione e di rosso, e di foglioline lunghe e strette che, di notte, si richiudono a libro, lungo il proprio asse longitudinale.
Il tronco di un esemplare adulto può raggiungere i sette metri di circonferenza mentre i baccelli, marroni e legnosi, che contengono da quattro a dodici semi, difficilmente superano i 15 centimetri di lunghezza. I semi, inoltre, hanno un colore che tende al bianco, sono avvolti da una polpa edibile e presentano un sapore un po’ acidulo. I frutti del Tamarindo non fanno la loro comparsa se non dopo che la pianta abbia raggiunto l’età di sei/sette anni.
Tra gli usi tradizionali del Tamarindo rientrano, oltre a quelli più scontati in cucina ed in medicina, l’impiego delle foglie come nutrimento per i bachi da seta, del legno per ottenere mobili e solai e, infine, della sua folta chioma come ombreggiante lungo le strade assolate, soprattutto in India.
Il principio attivo custodito all’interno dei semi, la tamarindina, dall’azione antibatterica e disinfettante, è particolarmente sfruttato per l’efficacia conclamata nel combattere diversi tipi di infezione, in particolare quelle dovute a Candida, Escherichia Coli, Pseudonas e Staphylococcus.
Piuttosto note sono anche le proprietà rinfrescanti e lassative della polpa gelatinosa che avvolge i semi, nonché quelle antiossidanti legate agli elevati contenuti di composti fenolici, quali l’acido tartarico e i flavonoidi. L’estratto del Tamarindo gode di eccellenti proprietà ipoglicemizzanti, cioè in grado di tenere bassi i livelli della glicemia nel sangue. Gli acidi organici contenuti sempre nella polpa, inoltre, fungono da regolatori intestinali, funzione che ben si abbina all’efficacia del Tamarindo come digestivo e acceleratore del metabolismo.
In sintesi, le tante proprietà benefiche del Tamarindo sono tali da rendere questo frutto tropicale un ottimo coadiuvante nelle diete ipocaloriche, poiché riduce l’assorbimento dei grassi, è lassativo e depurativo, ma anche un perfetto alleato per combattere invecchiamento cellulare, ipercolesterolemia, aggressioni virali e ipertensione.
Riguardo all’impiego alimentare del Tamarindo, del quale si consuma esclusivamente la polpa, ricordiamo che questa è principalmente composta da zuccheri, che rappresentano quasi il 60% della parte edibile, da acqua, per circa il 30% e da fibre. Percentuali inferiori, ma comunque importanti, sono costituite da proteine, grassi e sali minerali. Tra questi ultimi, fosforo, magnesio, potassio e calcio acquistano discreta rilevanza, accanto alle vitamine A, B, C e K.
Un etto della polpa del Tamarindo fornisce circa 240 calorie, ma l’apporto energetico non proprio bassissimo del frutto è ampiamente compensato dalle tante virtù benefiche che possiede e che ne fanno un alimento da non sottovalutare nell’ambito di un regime alimentare sano ed equilibrato.
La cucina thailandese, indiana e sudamericana, sfruttano da sempre il sapore dolciastro, speziato e leggermente acidulo della polpa del Tamarindo per farne minestre e salse da servire, di solito, in abbinamento al riso. Nei paesi occidentali è più frequente vederlo impiegato nella produzione di bevande ed infusi, oppure per realizzare una squisita marmellata, dal gusto agrodolce, che può essere facilmente abbinata a formaggi ed insalate.
Lo sciroppo di Tamarindo è forse il derivato più conosciuto di questo versatile “legume”: prodotto dalla miscela bollita di acqua, zucchero e polpa, si utilizza per ottenere fresche bibite estive, granite e ghiaccioli casalinghi.
Il Tamarindo è reperibile nei negozi etnici o nei supermercati molto ben forniti, dove fa bella mostra di sé in forma di baccelli. Se sono venduti sfusi è possibile scegliere i baccelli uno ad uno, avendo cura di preferire quelli con la buccia integra e compatta, e quelli più pesanti, cioè sicuramente pieni.
Una volta acquistato, il Tamarindo deve essere pulito, separando la parte commestibile da quello che non lo è. Il baccello, pertanto, deve essere letteralmente sgusciato, con le mani, come si fa con le arachidi. Sotto la scorza sottile si trova una polpa appiccicosa ma compatta, dalla quale occorre estrarre i semi.
Quest’ultima operazione può essere eseguita con l’aiuto di un coltellino. Una volta pulita, la polpa può essere trasformata in sciroppo, in marmellata, o in salsa, come la celebre Worcester, da abbinare a piatti a base di pollo, di verdure o di pesce.
In erboristeria è anche possibile acquistare le foglie essiccate del Tamarindo, dalle quali si ottiene un decotto ricco di proprietà antiossidanti e protettive delle funzioni epatiche, oppure le bustine già pronte, per preparare infusi dalle stesse benefiche virtù.
Il Tamarindo, se acquistato in baccelli e tenuto in un luogo fresco e asciutto, si conserva per circa tre settimane, mentre può arrivare tranquillamente a sei mesi in forma sciroppo, a patto che sia custodito in frigorifero. Anche la marmellata, una volta aperta, deve essere conservata ad una temperatura non superiore ai 5/6 gradi.
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