Sarebbe riduttivo definire la pratica del carciofo alla matticella solo come una preparazione a base di carciofi. Si tratta in realtà di un rito molto antico e affascinante che appartiene al bagaglio di tradizioni del Lazio e, nello specifico, dei Castelli Romani.
Quello della matticella è un appuntamento immancabile della città di Velletri, dove nasce una tradizione è oggi diventata PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), in quanto da annoverare tra i classici del panorama culinario regionale.
La matticella si prepara solitamente ad aprile, mese durante il quale le famiglie si riuniscono in campagna proprio per mangiare il carciofo alla matticella. Il carciofo in questione è la mammola, una tipologia della zona disponibile tra fine inverno e primavera.
Dalla forma rotonda e non spinosa, può arrivare a dimensioni notevoli. Le foglie si presentano con una forma piuttosto ampia, sono morbide e al palato risultano carnose. Grazie a tutte queste caratteristiche le mammole si prestano perfettamente per essere cucinate intere.
Ma veniamo alla storia. Con il termine ’’matticelle’’ si intendono i tralci che si ricavano dalla potatura della vigna: il legno accumulato viene raccolto in fascetti e messo a disposizione per la brace, con la quale vengono poi cotti i carciofi. La tradizione viene tramandata da generazioni, ma ci sono tracce scritte anche nei documenti dei Gesuiti risalenti al periodo dello Stato della Chiesa.
Secondo un’antica leggenda, all’origine di questa preparazione ci sarebbe stato un piccolo incidente: si narra che una giovane fanciulla, distratta dalle avance del suo amato, non si fosse accorta che il canestro pieno di carciofi si era rovesciato, cadendo proprio nella brace fatta con le matticelle. Questi carciofi erano destinati alla colazione dei lavoratori, tra cui era presente anche il padre della giovane: a quel punto la fanciulla trovò una soluzione per rimediare alla situazione e pensò bene di infilare nel cuore dei carciofi degli odori, tra cui mentuccia selvatica e aglio fresco che trovò disponibili in campagna. Una volta inzeppati, rimise i carciofi nella brace. Con questa preparazione, la giovane si presentò ai commensali e con entusiasmo spiegò che la novità di questa cottura voleva essere un omaggio alle due piante, il carciofo e la vite, la cui vicinanza nelle campagne è simbolo di simbiosi e armonia.
Grazie a questa storia, oggi si celebra la potatura della vigna e si gusta questa preparazione con una festa annuale che i vignaioli hanno tramandato come segno di amore per la loro terra.
I carciofi vanno mondati e conditi con un trito di aglio, prezzemolo e mentuccia, si aggiusta di sale e pepe, poi irrorati con olio di oliva e posizionati sui bracieri. È proprio la qualità del legno a conferire le peculiari caratteristiche alla preparazione: il colpo d’occhio di questi carciofi in cottura è affascinante, sono posizionati con il gambi infilati nella brace e sembrano dei meravigliosi fiori sbocciati.
La maestria del fuochista farà la differenza: è fondamentale scegliere dove sistemare la brace, in modo che l’aria possa circolare liberamente. Vedere questi carciofi posizionati sulla cenere con l’ardore del legno, è uno spettacolo unico.
La cottura durerà circa un’ora, ai carciofi verrà aggiunto olio EVO prima di essere serviti con pane casereccio. Una volta staccate le foglie bruciate, rimarrà il cuore morbido e profumato e si sprigioneranno tutti gli aromi della cottura: mentre li maneggiamo, l’olio andrà a bagnare il pane, che prenderà tutto il sapore della cottura.
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