È un piatto che racchiude e racconta storia e tradizioni di quella terra magnificamente autentica che è la Basilicata, la regione famosa per i suoi peperoni cruschi. Hai mai sentito parlare della rafanata?
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Questo gustoso piatto trova le sue radici nell’umile rafano, una volta chiamato “il tartufo dei poveri” e ora celebrato per il suo sapore distintivo e la sua capacità di rivestire un ruolo da protagonista all’interno di questa ricetta regionale che per molti è ancora segreta.
Per comprendere fino in fondo un piatto come la rafanata, è necessario fare un piccolo approfondimento sul suo ingrediente principale. È infatti il rafano a dare al piatto il suo gusto inconfondibile, radice dalle molteplici qualità apprezzata in cucina come nella medicina tradizionale.
Con il suo sapore intenso e vagamente piccante, il rafano aggiunge un tocco deciso ai piatti e vanta una lunga storia come ingrediente culinario e rimedio naturale.
Il rafano è una radice lunga e cilindrica, dalla buccia marrone chiaro e caratterizzato da una polpa bianca e compatta. Il suo sapore è distintamente pungente, per certi versi simile a quello della senape o del wasabi. Questo gusto forte viene sprigionato quando la radice viene grattugiata o tagliata, poiché gli enzimi attivati rilasciano oli volatili che donano al rafano il suo caratteristico sapore.
Il rafano non è solo apprezzato per il suo sapore, ma anche per i benefici che è in grado di apportare alla salute. È ricco di vitamina C, che aiuta a rafforzare il sistema immunitario, e contiene composti antiossidanti che possono aiutare a combattere le infiammazioni. Grazie alle sue proprietà antibatteriche e antimicrobiche, il rafano è inoltre stato tradizionalmente utilizzato come rimedio per alleviare problemi respiratori e digestivi.
Il rafano fresco può essere conservato in frigorifero per diverse settimane. È meglio conservarlo intero, con la buccia intatta, avvolto in un panno umido o in un sacchetto di plastica perforato per mantenerlo fresco. Una volta grattugiato, si consiglia di utilizzarlo immediatamente, poiché il suo sapore piccante tende a svanire con il tempo.
La cucina italiana, radicata com’è nelle tradizioni locali e con tutta la sua sorprendente varietà regionale, riserva innumerevoli sorprese anche per gli italiani stessi. Tra le valli del nord e le coste del sud, esistono tantissimi piatti meno noti che sono vere e proprie gemme culinarie. Testimoni delle storie uniche e dei metodi di preparazione che differiscono da un angolo all’altro della penisola. E che rendono ogni regione, anche la più piccola, un piccolo scrigno di preparazioni, sapori e pietanze da scoprire.
Scoprire le ricette meno conosciute d’Italia non è solo un’avventura dal punto di vista meramente gastronomico. È anche un modo per comprendere più profondamente la cultura e le tradizioni di regioni meno esplorate. Ogni piatto ha una storia da raccontare, spesso legata alle condizioni geografiche, storiche e sociali della regione di origine.
Proprio come succede con la rafanata lucana, una frittata opulenta e ricca, vero e proprio comfort food che combina pochi e semplici ingredienti: uova, rafano, pecorino, olio EVO, sale e pepe.
Tradizionalmente veniva cotta alla brace, mettendo la carbonella sia sopra che sotto la pentola per infondere al piatto un irresistibile aroma affumicato. Oggi più comunemente si prepara in forno o in padella.
Per chi preferisce evitare la padella, la rafanata si presta bene anche alla cottura in forno. Versare il composto in una teglia rivestita di carta forno e cuocere a 200°C per circa 30 minuti, fino a che non diventa dorata e croccante.
La rafanata si conserva in frigorifero per 2-3 giorni se coperta con pellicola trasparente. Per gustarla al meglio, si consiglia di riscaldarla in padella o in forno per alcuni minuti.
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